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^^
Dello Statuto se ne parlava proprio nel thread di Torino ora .
Da quanto apprendo la foto che hai postato era precedente alla tragedia , con rinnovo locali e commissione che valutò tutto a norma. :eek:hno:
si,dopo la tragedia le luci erano spente , i muri anneriti,e gli spettacoli diciamo sospesi
 

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Infatti, cosi' l'avevo visto il lunedi successivo, passando col 13; molta la folla accorsa per vedere la disgrazia..
 

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Corridore dei Tram
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^^
Dello Statuto se ne parlava proprio nel thread di Torino ora .
Da quanto apprendo la foto che hai postato era precedente alla tragedia , con rinnovo locali e commissione che valutò tutto a norma. :eek:hno:
Era a norma di legge dell'epoca, che se la leggessimo ora ci metteremmo le mani dei capelli:

Le poltrone dell'epoca, dovevano essere solo ignifughe, se sprigionassero o meno fumo non era conteggiato.
 

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Corridore dei Tram
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Il giorno della tragedia dello Statuto era l'ultima domenica di Carnevale; molti avevano deciso di festeggiarla al cinema, che era pieno. Questo aumento' le dimensioni del disastro.
Si parlo' molto, allora, di un possibile scherzo di cattivo gusto, col lancio di petardi o girandole da parte di uno spettatore, ma non venne mai provato; le cause rimasero accidentali.
Venne addirittura ipotizzata la pista del piromane dai giornali dell'epoca..
La cosa più diciamo vergognosa dell'epoca è che durante le indagini, come raccontò poi qualche anno prima di morire il Signor Capella( l'allora proprietario) qualcuno cercò già di far sparire il Faldone.
 

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A Carnevale, si sa, ogni scherzo vale, anche se stupido e pericoloso; non era affatto da escludersi che qualcuno potesse aver innescato involontariamente l'incendio, dopotutto i cine sono pieni di tendoni infiammabili.
Personalmente, ricordo, durante un Cenone di Capodanno, uno della tavolata fece partire una girandola che per poco non incendio' un tendaggio del ristorante. Si sa, la madre degli imbecilli e' sempre incinta, purtroppo non e' una razza in via di estinzione...
 

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Oggi su Reddit qualcuno ha postato questa foto (anzi, queste due foto, di diversa provenienza, incollate).



con didascalia "Impact mark of a WWII British incendiary bomb on a pavement stone in Turin, Italy" (per i non anglofoni, traducibile più o meno come "segno lasciato dall'impatto di una bomba incendiaria britannica della seconda guerra mondiale su una pavimentazione in pietra a Torino, Italia").

A richieste di dettagli mi è stato risposto che si trova in Corso San Maurizio 32, e che dovrebbe essere uno dei punti segnati su questa mappa (non fate caso al cerchio) https://atlas.landscapefor.eu/category/architettura/poi/12323-evoluzione-di-vanchiglia-nel-primo-900/7931-bombardamenti-1943/



Pare inoltre che in zona esistano altri segni analoghi per dimensioni e forma.

Secondo voi è plausibile?
 

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Oggi su Reddit qualcuno ha postato questa foto (anzi, queste due foto, di diversa provenienza, incollate).



con didascalia "Impact mark of a WWII British incendiary bomb on a pavement stone in Turin, Italy" (per i non anglofoni, traducibile più o meno come "segno lasciato dall'impatto di una bomba incendiaria britannica della seconda guerra mondiale su una pavimentazione in pietra a Torino, Italia").

A richieste di dettagli mi è stato risposto che si trova in Corso San Maurizio 32, e che dovrebbe essere uno dei punti segnati su questa mappa https://atlas.landscapefor.eu/category/architettura/poi/12323-evoluzione-di-vanchiglia-nel-primo-900/7931-bombardamenti-1943/



Secondo voi è plausibile?
Credo proprio di sì....
Non sono un esperto, ma di tracce sul vecchio selciato che faceva da marciapiedi in tempi remoti (ma nemmeno tanto...)
lasciati dagli "spezzoni" di bombe incendiarie durante la seconda guerra mondiale ce ne sono diversi,
ed in tutte le città che subirono importanti bombardamenti ( purchè in alcune zone sia rimasto il vecchio selciato, non sostituito dai moderni marciapiedi).

Queste bombe si "frantumavano" in spezzoni incandescenti, in grado di sciogliere (mi si passi il termine) materiali anche in laterizio, ma "povero".

Le lastre che formavano la pavimentazione dei marciapiedi erano rigide, ma facilmente lavorabili (selce, appunto).
Gli "spezzoni", quando cadevano sul marciapiede, sciogliendolo, creavano dei fori come visibile in foto......

In giro per Torino ce ne sono ancora degli altri; c'era una volta un sito (non più esistente) che ne aveva un elenco....

Se me ne viene in mente qualcuno lo pubblicherò.

EDIT:

Ho ritrovato un blog nel quale è presente una foto:
il link all' immagine è questo (pubblico il link perchè la foto è enorme):
https://romanoborrelli.files.wordpress.com/2015/01/torino-via-ravenna-nel-racconto-di-gherardi-natale-foto-romano-borrelli.jpg

Il punto esatto dove si trova è questo:

https://goo.gl/maps/hR8xyt4JuY2QvpyV9

(immagine StreetView di ottobre 2017)
 

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Gli spezzoni non erano parti di bombe, ma veri e propri ordigni incendiari al magnesio, a forma di sbarra per cadere verticalmente e perforare i tetti per poi esplodere all'interno.
La loro forza di penetrazione era notevole, per questo foravano anche le lastre di pietra, come se cadesse uno scalpello da 3 mila metri.
Erano stivati a pacchi e avevano sezione esagonale perché, come ci insegnano le api, permette di sfruttare al meglio lo spazio.



Il nome "spezzone" ha il significato di tubo esplosivo. Ne vennero usati nella Grande Guerra per essere lanciati a mano sotto i reticolati per tagliarli oppure direttamente contro il nemico. Anche le bombe artigianali dei GAP romani, realizzati clandestinamente dagli operai del gas nelle officine, venivano chiamati così.

Penso che si possa assimilare agli spezzoni da trincea anche il tubo "Bangalore" della Seconda G. M., protagonista della scena dello sbarco in Normandia in "Salvate il soldato Ryan".

 

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Segni sulla pietra «Adhaesit pavimento anima mea», l'anima mia aderì al lastricato: così il Salmo 119, che Dante cita nel Purgatorio,
e che tuttavia viene anche tradotto in altri modi. Aderì al lastricato per motivi vari e per breve tempo,
e questo contatto non è stato del tutto inutile; è stata piuttosto una esplorazione. I marciapiedi sono un'istituzione molto civile:
lo sanno i romani d'oggi, che non li hanno, e che quando vanno a piedi devono percorrere snervanti labirinti fra le auto posteggiate troppo vicino ai muri.
Lo sapevano i romani d'un tempo, che invece li avevano costruiti ben rilevati a Pompei;
e lo sapeva anche fra Cristoforo dei Promessi Sposi, che appunto era diventato frate perché un certo marciapiede non c'era,
o era fangoso, o troppo stretto, tanto che lui si era trovato obbligato ad un brutto incontro che gli aveva fatto cambiare nome e destino.

I marciapiedi di questa città (e, non ne dubito, quelli di qualsiasi altra città) sono pieni di sorprese.

I più recenti sono di asfalto, e questa è una follia: più ci si inoltra sulla via dell'austerità, più appare stupido usare composti organici per camminarci sopra.
Forse non è lontano il tempo in cui l'asfalto urbano verrà riesumato con le cautele che si adottano per staccare gli affreschi;
verrà raccolto, classificato, idrogenato, ridistillato, per ricavarne le frazioni nobili che esso potenzialmente contiene.
O forse i marciapiedi di asfalto saranno sepolti sotto nuovi strati di chissà quale altro materiale, sperabilmente meno prodigo,
ed allora i futuri archeologi vi troveranno incastrati, come gli insetti del pliocene nell'ambra, i tappi-corona della Coca Cola e gli anellini a strappo della birra in lattine,
ricavandone dati sulla qualità e quantità delle nostre scelte alimentari.

Si ripeterà così il fenomeno che ai nostri occhi ha reso interessanti, e quindi nobili, i Kòkkenmoddingen,
quelle collinette fatte esclusivamente di gusci di molluschi, lische di pesce ed ossa di gabbiano che gli archeologi d'oggi scavano sulle coste della Danimarca;
erano mucchi di rifiuti che crebbero lentamente, a partire da circa 7000 anni fa, intorno a miseri villaggi di pescatori, ed ora sono fossili illustri.

I marciapiedi più vecchi e più tipici sono invece fatti di lastroni di pietra dura, pazientemente sgrossata e scalpellata a mano.
Il grado dei loro logorìo ne consente una grossolana datazione: le lastre più antiche sono lisce e lucide,
lavorate dai passi di generazioni di pedoni, ed hanno assunto l'aspetto e la patina calda delle rocce alpine levigate dal mostruoso attrito dei ghiacciai.
Dove la roccia schistosa era percorsa da una vena di quarzo, che è molto più duro della sua matrice, esso è venuta a sporgere,
talvolta in misura fastidiosa per i passanti dai piedi teneri. Dove invece l'attrito è stato minore o nullo, si distingue ancora la ruvidezza originaria della pietra,
e spesso i singoli colpi di scalpello: questo si vede bene lungo i muri, per una distanza di un palmo,
e particolarmente bene sul lastricato che sta davanti al Palazzo Carignano;
il percorso rettilineo tangente all'ingresso principale è eroso normalmente, mentre i recessi della facciata barocca albergano lastre ruvide,
perché per più di tre secoli non ci è passato quasi nessuno.

E' stato assai più intenso il logorìo del marmo, che è un materiale meno resistente: molte soglie di vecchie botteghe sono di marmo,
e nel giro di pochi decenni soltanto si sono infossate profondamente.
Questa erosione delle soglie è 'vistosa in certe chiesette o cappelle di montagna, dove per generazioni i fedeli entravano portando scarpe chiodate.
Spesso non solo la soglia è logora, ma si nota inoltre, verso l'interno, una seconda zona incavata alla distanza di una cinquantina di centimetri:
essa segnala il punto pressoché obbligato in cui cadeva il secondo passo. Davanti a molte porte carraie si osserva che il lastrone reca un'incisione caratteristica.
Dai due stipiti partono due solchi diritti o curvilinei, divergenti fra loro; fra questi, paralleli al muro, e distanti fra loro una dozzina di centimetri,
sono tracciati altri solchi, per tutta la larghezza del marciapiede.
Servivano a dare appiglio alla ferratura dei cavalli da tiro, animali preistorici: quando il carro si trovava a salire lo scivolo di raccordo tra il fondo stradale e il marciapiede,
le zampe posteriori del cavallo erano sottoposte al massimo sforzo, e slittavano se il lastrone era liscio.
I più antichi fra questi lastroni incisi mostrano anche i segni del logorio provocato dai cerchioni e dagli zoccoli ferrati.

In vari punti della città le lastre di pietra conservano le tracce delle incursioni aeree della seconda guerra mondiale.
Le lastre spezzate dalle bombe dirompenti sono state sostituite, ma sono state lasciate in sito quelle che erano state perforate dagli spezzoni incendiari.
Questi ordigni erano prismi d'acciaio che venivano lanciati alla cieca dagli aerei, ed erano disegnati in modo da cadere verticalmente,
con tale impeto da perforare tetti, solai e soffitti; alcuni di essi, caduti sui marciapiedi, hanno forato nettamente la pietra spessa dieci o quindici centimetri, come punzoni di trancia.
E' probabile che chi si prendesse la briga di sollevare i lastroni forati vi troverebbe sotto lo spezzone;
due di queste forature, a pochi metri di distanza l'una dall'altra, si trovano ad esempio davanti al numero 9 bis di corso Re Umberto.

Al vederle, tornano a mente le voci macabre che circolavano in tempo di guerra, di passanti che non avevano fatto a tempo a rifugiarsi, ed erano stati trafitti dalla testa ai piedi.


Altri segni sono meno sinistri e più recenti. Dappertutto, ma più numerose nei tratti più frequentati, si notano sulle lastre delle macchie rotonde, del diametro di pochi centimetri, biancastre, grigie o nere.
Sono gomme da masticare, incivilmente sputate a terra, e testimoniano delle eccellenti proprietà meccaniche del materiale di cui sono costituite:
infatti, se non vengono rimosse (ma rimuoverle non è facile: costa tempo e fatica, oltre che ribrezzo, e lo sanno i pochi negozianti che si prendono cura di ripulire il marciapiede davanti alla loro bottega) sono praticamente indistruttibili.
Il loro colore si fa sempre più scuro a mano a mano che la loro superficie assorbe polvere e terriccio, ma non scompaiono mai.
Costituiscono un buon esempio di un fenomeno che si presenta spesso nella tecnica: lo sforzo che tende a rendere ottime le proprietà di resistenza e di solidità di un determinato materiale può condurre a gravi difficoltà quando si tratta di eliminare il materiale medesimo dopo che ha adempiuto alle sue funzioni;
ad esempio, è stato laboriosissimo demolire le fortificazioni in cemento armato della seconda guerra mondiale;
è quasi impossibile distruggere il vetro e la ceramica, materiali nati per resistere ai secoli; le vernici protettive sempre più durature richieste dall'industria hanno fatto nascere una generazione di solventi e di prodotti sverniciami paurosamente aggressivi.
Allo stesso modo, la richiesta di una gomma che resista, deformandosi ma senza distruggersi, al tormento della masticazione, fatto di pressione, umidità, calore ed enzimi,
ha condotto ad un materiale che resiste fin troppo bene al calpestio, alla pioggia, al gelo ed al sole d'estate.
Queste gomme, dalle prestazioni inutilmente buone, hanno trovato vari impieghi secondari, tutti più o meno nocivi: ed anche questo è un fatto ricorrente.
Si può dire che nessuno fra gli strumenti di pace inventati dall'uomo è sfuggito al destino di essere usato nel più nocivo dei modi, e cioè come arma: forbici, martelli, fal'ci, forconi, piccozze; perfino le corte pale da trincea, come racconta terribilmente Remarque in Niente di nuovo sul fronte occidentale.
La gomma da masticare non è stata usata come arma, ma come strumento per sabotare le macchinette annullatici dei trasporti urbani, nei mesi più caldi della contestazione giovanile.
Come ho detto, le gomme masticate si trovano dappertutto, ma ad un esame più attento si nota che esse raggiungono un massimo di densità in prossimità dei bar e dei caffè più frequentati:
infatti il masticatore che vi si dirige è costretto a sputare per liberarsi la bocca.
Come effetto, un forestiero non pratico della città potrebbe trovare questi locali spostandosi nel senso delle gomme più fitte, allo stesso modo con cui gli squali trovano le loro prede ferite nuotando nel senso delle concentrazioni di sangue crescenti.
Accanto ad altri elementi più ovvi e triviali, sono questi i' segni che si ravvisano sul lastricato quando l'anima vi aderisce come la gomma da masticare, per motivo di accidia, pigrizia o stanchezza.


Primo Levi

I marciapiedi delle nostre città
La Stampa - Giovedì 20 Settembre 1979
 

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Però non è detto che tutti i buchi che si vedono nelle lastre di pietra siano stati lasciati dagli spezzoni. Se sono netti e non ci sono segni di rottura potrebbero essere buchi di barramina fatti in cava. A volte i pezzi, anche se segnati, non vengono buttati via se destinati ad un impiego non di pregio.
 

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Però non è detto che tutti i buchi che si vedono nelle lastre di pietra siano stati lasciati dagli spezzoni. Se sono netti e non ci sono segni di rottura potrebbero essere buchi di barramina fatti in cava. A volte i pezzi, anche se segnati, non vengono buttati via se destinati ad un impiego non di pregio.
In effetti quello che ho inserito nel post #30953 mi lasciava un po' perplesso.
Ma arriva da una testimonianza autorevole....
 

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Dove invece l'attrito è stato minore o nullo, si distingue ancora la ruvidezza originaria della pietra, e spesso i singoli colpi di scalpello: questo si vede bene lungo i muri, per una distanza di un palmo, e particolarmente bene sul lastricato che sta davanti al Palazzo Carignano; il percorso rettilineo tangente all'ingresso principale è eroso normalmente, mentre i recessi della facciata barocca albergano lastre ruvide, perché per più di tre secoli non ci è passato quasi nessuno.

Primo Levi

I marciapiedi delle nostre città
La Stampa - Giovedì 20 Settembre 1979
Anche questa è sparita. Ora in piazza Carignano c'è il porfido ovunque, fin contro i muri del palazzo. Peccato.
 

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Riguardo a bombe e bombardamenti: l'equipaggio dei bombardieri, di tutti i belligeranti, per motivi di sicurezza non poteva tornare alla base e atterrare con ancora bombe sotto la "pancia"; doveva per forza liberarsi di quelle inutilizzate per colpire gli obiettivi, sganciandole per quanto possibile in zone "neutre" (mari, laghi, campagne deserte), però se non possibile ovunque capitasse. Questo forse spiega la distruzione, anche di scuole (come quella del 1945 nell'hinterland milanese, che uccise decine di scolari innocenti) o la bomba sganciata su una giostra a Grosseto, sempre in quel periodo (anche in questo caso con l'uccisione di bambini).
 
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