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Scusatemi se continuo a parlare della zona Millefonti, ma sono riuscito a trovare un sacco di foto inedite!
Iniziamo:
Sono riuscito a trovare su internet delle foto di questa favela del lungo Po, eccole:
ricordava mia madre che , ricoverata al Sant'Anna quando diede alla luce il sottoscritto, quando potè affacciarsi alla finestra vide al di sotto lo spettacolo della baraccopoli; per lei, che arrivava in città da fuori Torino, fu quasi un pugno nell'occhio...una realtà che nemmeno immaginava esistesse!
L'agglomerato aveva iniziato a formarsi durante la guerra, quando molti che avevano avuto la casa nella zona (duramente colpita per la presenza del Lingotto, della RIV e altre fabbriche) distrutta dai bombardamenti, rifiutando le sistemazioni proposte dal Comune, si erano accampati in riva al fiume in baracche costruite con quanto ricuperato dalle macerie; poi, nel dopoguerra, iniziata la grande ondata migratoria, si erano aggiunti i tanti immigrati da ogni parte d'Italia, in un momento ancora di grande crisi degli alloggi, fino a formare una piccola città nella città. Arrivò dopo la costruzione delle Vallette, della Falchera, di Mirafiori Sud, ecc.
I nuclei estromessi dalle baracche nel 1956 vennero ospitati provvisoriamente alle casermette di Borgo San Paolo (ora pure scomparse), fino appunto alla costruzione dei suddetti insediamenti.
 

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Più che un ricordo è una questione toponomastica, ma magari a qualcuno interessa. Mentre sistemavo la mappatura del Parco Ruffini su Openstreetmap, mi è rivenuto in mente l'interessante problema di "viale Burdin": Burdin evidentemente non è un luogo ma una persona, però, a differenza degli altri personaggi ricordati nei viali del parco, il misterioso Burdin non ha un nome. Ho ipotizzato fosse Auguste Burdin, fondatore del Museo della Frutta, ma dopo aver chiesto aiuto all'ufficio toponomastica del Comune, tramite loro ricerca, abbiamo scoperto che in realtà l'intitolazione è alla "famiglia Burdin", comprendente Auguste e altri agronomi-vivaisti. Quindi è giusto "viale Burdin" anche se al giorno d'oggi sembra una intitolazione strana.
 

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Via Nizza angolo via Millefonti.

Tratto dal sito: http://www.museotorino.it/view/s/e810d9f39da34db1b5aed5f6834dde52


"Via Nizza. Stabilimento FIAT Lingotto. Effetti prodotti dai bombardamenti dell'incursione aerea del 30 novembre 1942."

Come appare ora la zona: https://www.google.com/maps/@45.0288149,7.6658881,3a,90y,48.76h,97.32t/data=!3m6!1e1!3m4!1s4PZe_vvma5pTlZZ-0IdxRg!2e0!7i13312!8i6656
Infatti, le case di edilizia popolare di fronte al Lingotto vennero edificate nei primi anni 50; come pure quelle, nello stesso stile, sul sito dell'ex scalo del "trenino" di Saluzzo, in via Genova angolo corso Spezia (piazza Camillo Bozzolo).

https://www.google.it/maps/@45.0366392,7.6717149,3a,75y,174.07h,93.57t/data=!3m5!1e1!3m3!1s0RZ6VXZGs-Zn2zhBDy39pw!2e0!6s//geo2.ggpht.com/cbk?panoid=0RZ6VXZGs-Zn2zhBDy39pw&output=thumbnail&cb_client=search.TACTILE.gps&thumb=2&w=96&h=64&yaw=115.91258&pitch=0&thumbfov=100?hl=it
 

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Scusatemi se continuo a parlare della zona Millefonti, ma sono riuscito a trovare un sacco di foto inedite!

Iniziamo:

Cascina Rissone, foto gia' postata in questo thread alla pag. 864
La "mitica" cascina Rissone, una delle più grandi e importanti della zona! Scomparsa proprio con la creazione di Italia61, visto che si trovava quasi esattamente dove sorse l'ingresso Nord, con la stazione e rimessa della monorotaia.
Nella foto, tratta dal libro "Nizza Millefonti" di Graphot editrice, alcuni abitanti della cascina negli anni 30



nel libro, si sottolinea come la cascina, come le altre simili strutture del territorio torinese, fosse un mondo a sè, autosufficiente; anche se, quando venne abbattuta, aveva ormai esaurito la sua funzione....
 

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Sarei proprio curioso di sapere comne se la cavano questi con il diritto d'autore.....

Me lo chiedo pure io, non ho mai capito come funzioni il diritto d'autore su opere con una certa età. Voglio dire, ad esempio tutti i testi di Pirandello sono di pubblico dominio perché il copyright è scaduto. Perché non dovrebbe esserlo una cara del 1914? O del '700? Eppure ci sono casi in cui non lo sono. Boh.
 

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La "mitica" cascina Rissone, una delle più grandi e importanti della zona! Scomparsa proprio con la creazione di Italia61, visto che si trovava quasi esattamente dove sorse l'ingresso Nord, con la stazione e rimessa della monorotaia.
Dal libro "Nizza Millefonti" di Graphot Editrice: alcuni abitanti della cascina Rissone, negli anni 30



nel libro si sottolinea come la cascina, come le altre strutture simili del territorio torinese, fosse un mondo a sè, pressochè autosufficiente; anche se ormai, alla sua demolizione, era ormai ridotta al solo fabbricato...
 

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Su "Torino Storia" di questo mese vi è un articolo che tratta esaurientemente del monumento a Vittorio Emanuele II, con la sua costruzione dall'iter travagliato; vi è anche una riproduzione del progetto originario, che val la pena di postare



a risoluzione originaria dello scanner

 

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Su "Torino Storia" di questo mese vi è un articolo che tratta esaurientemente del monumento a Vittorio Emanuele II, con la sua costruzione dall'iter travagliato; vi è anche una riproduzione del progetto originario, che val la pena di postare
Noi di Torino Sparita siamo avanti con i "bozzetti originali" dei progetti per il monumento :lol::lol::lol:

 

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Sempre su "Torino Storia" di questo mese, si parla dell'edicola votiva ora addossata alla parete della chiesa di Pozzo Strada, ma che originariamente si trovava nel bel mezzo di via Bardonecchia



oggi

https://www.google.it/maps/@45.072149,7.6283629,3a,37.5y,208.89h,91.4t/data=!3m6!1e1!3m4!1sGH7oq0pJUEs32s2ImROaMg!2e0!7i13312!8i6656?hl=it

stando al giornale, lo spostamento sarebbe avvenuto nel 1984; ma fin dagli anni 60 per via Bardonecchia, da corso Peschiera in poi, passava il filobus, poi autobus 33, cui dal 1982 si aggiunse l'autobus 42; mezzi che mai e poi mai avrebbero potuto transitare per la via, se ancora ci fosse stato l'ingombrante "spartitraffico" (causa comunque, ammette la rivista, di molti incidenti)! Quindi, lo spostamento deve essere ben anteriore....
Qualcuno ha ragguagli più precisi sull'epoca dello spostamento?
 

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Sempre nella zona: nella carta della Guida Paravia del 1937, nel sito dove negli anni 60 sorse il Centro Professionale "Mario Enrico" (recentemente abbattuto) risultava esservi un Campo Sportivo della soc. "Unica" (presumibilmente non ancora fusa con "Venchi")



notare anche, sulla destra, il capolinea tranviario a triangolo del tram 12, nel 1950 arretrato con capolinea ad anello sulla piazzetta tra corso Peschiera - corso Trapani - via Frejus, dove rimase poi fino alla soppressione della linea nel 1966 (sostituito dal bus 68).
 

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Inverno 1937: in una giornata nevosa, l'incrocio di via Nizza con corso Vittorio, col primo semaforo (a colonnina, al centro dell'incrocio) installato a Torino, nel 1931; sullo sfondo, a destra, un tram della linea 18 diretto verso la Barriera di Milano si accinge a svoltare da via Nizza in corso Vittorio, per poi risvoltare in via Carlo Alberto davanti al "Corso" (percorso imposto dai sensi unici istituiti in via Carlo Alberto e via Lagrange, in comune col 21, rimasto tale fino alla soppressione delle due linee nel 1966)



Mia madre di questo primo semaforo aveva un ricordo piuttosto sgradevole: giunta a Porta Nuova dal paese col treno assieme a una cugina, si erano accinte all'attraversamento di quell'incrocio col "rosso", ignare entrambe della presenza di quella "cosa". cui non avevano nemmeno fatto caso (il giornale lo compravano solo la domenica e qualche altra festa, a possedere la radio nemmeno pensavano ancora, per cui nulla sapevano dell'innovazione, venendo da fuori). Subito, il vigile addetto alla manovra manuale del semaforo aveva fischiato, fermandole, appioppando una multa di 5 lire ciascuna (allora una somma discreta, come oggi più o meno 5 euro). A poco valse la loro dichiarazione che non erano al corrente della novità: si sa, la legge non ammette ignoranza; il "salto" in città costò loro piuttosto caro...
 

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Occorre dire che i semafori a colonnina centrale erano poco visibili, specie in condizioni meteorologiche avverse come quella della foto; per questo, dal dopoguerra o forse prima, vennero sostituiti da quelli appesi in alto al centro dell'incrocio, sostenuti da cavi. Quelli a colonnina tornarono più tardi , ai lati dell'incrocio, anche come semafori pedonali, quando la tecnologia rese possibile il comando multiplo di più apparecchi.
Recentemente, anche i semafori appesi sono stati sostituiti da quelli montati a sbalzo.
 

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"Quando passa Francesca Maria,
pure il vigile resta a guardar
e il semaforo in mezzo alla via
segna rosso e non lascia passar"
.

questo ritornello di una canzoncina in voga ai primi anni 30 ci ricorda che i primi semafori erano a comando manuale, effettuato da un vigile in una garitta ai lati dell'incrocio. I semafori automatizzati arrivarono verso la metà di quel decennio, con tecnologie elettromeccaniche mutuate dalle prime centraline telefoniche (relè, selettori, temporizzatori); quello della foto, il primo, lo fu nel 1936, come ci informa "Torino Storia" di questo mese (da cui anche la foto è tratta).
Ecco il link su Youtube alla simpatica canzoncina

https://youtu.be/W6hWshftQlE
 

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Ancora da "Torino Storia" di questo mese:
Il sen. Alfredo Frassati, storico fondatore de "La Stampa", non volle mai parlare pubblicamente della tragedia familiare che aveva colpito la sua famiglia quando era ancora bambino, nel giugno del 1889: la defenestrazione della sorella maggiore, Emma, all'età di 24 anni, che vediamo in questa foto di poco tempo prima assieme ad Alfredo, ancora in braje curte.



il fatto avvenne nell'alloggio allora abitato dalla famiglia, in via San Quintino all'angolo con via Volta, al secondo piano; la ragazza, fidanzata e in procinto di sposarsi, era caduta da una finestra sulla strada, morendo pressochè sul colpo; i soccorritori subito intervenuti non avevano potuto far altro che constatarne il decesso.
Del fatto venne incolpato il fidanzato, presente nell'alloggio al momento del fatto, accusato di omicidio per averla spinta nel vuoto, sebbene lui proclamasse essersi trattata di una disgrazia, per essersi troppo sporta, o addirittura di suicidio; erano noti i rapporti piuttosto burrascosi della coppia, così come lo stato di instabilità psichica e psicologica dell'uomo.
Processato nel dicembre successivo, il giovane venne condannato a otto anni,oltre al risarcimento alla famiglia Frassati.
Il palazzo teatro della tragedia non esiste più: probabilmente sinistrato dai bombardamenti bellici, venne abbattuto, e al suo posto venne eretto un moderno palazzo "stile anni 50".

https://www.google.it/maps/@45.0643448,7.6779897,3a,75y,244.94h,107.87t/data=!3m6!1e1!3m4!1sMphyxI9I37u1-3GQhgui-Q!2e0!7i13312!8i6656?hl=it
 
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